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Partire ancora

Elisa Caspani
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08 Giugno 2010

A oltre cinquant’anni dalla prima partenza per il Brasile, Elisa Caspani, originaria di Desio, esprime la sua gioia di tornare in missione.

“Tu va’!” - Sono partita per la prima volta per il Brasile nel 1957. Dopo una decina d’anni di lavoro pastorale, sono tornata in Italia e ho preso il diploma d’infermiera.

In quel tempo, la mia mamma era malata e le ho detto: “Le superiore mi permettono di restare con te”. “Io non sono degna di avere una figlia missionaria – mi ha risposto. - Tu va’ e non pensare a me: ci pensa il Signore!”. In quel momento ho capito che amare è fare qualunque sacrificio per chi si ama. I miei fratelli l’hanno assistita e io sono partita senza più rivederla.

Abaetè allora e adesso

Quando vi arrivammo dal sud del Brasile, nel 1966, Abaetétuba era una piccola città: ci si conosceva tutti e si dormiva con finestre e porte aperte. C’era rispetto verso le ragazze: anche le abitazioni più povere disponevano di un locale riservato a loro. L’anno prima, il parroco, il saveriano p. Mitidieri, aveva aperto per i ragazzi il Collegio “S. Francesco Saverio”. In un edificio ristrutturato all’uopo, nacque il Centro Medico, per le necessità sanitarie della popolazione della città e delle numerose isole circostanti, lungo il corso del fiume Tocantins. 

Nel corso degli anni, le condizioni di vita del popolo sono migliorate e la città si è fatta più grande e più bella, ora dispone anche di un’Università statale. Non per tutti: cresce il divario fra ricchi e poveri e il 28% della popolazione vive ancora nelle favela. Sono aumentati violenza, furti, droga, con conseguenti vittime: ora, anche una casa semplice deve mettere inferriate per timore di aggressioni. Le sette si sono moltiplicate e propongono una salvezza attraverso lunghe celebrazioni, in genere senza impegno sociale.
La chiesa cerca di tenere alto l’impegno per la giustizia; per esempio, ha promosso una raccolta di firme per chiedere che i candidati a posti politici abbiano la fedina pulita: molti infatti ricorrono alla carriera politica per avere l’impunità.

Il Centro medico progressivamente è cresciuto, grazie anche al lavoro di tante sorelle: attualmente riceve circa duecentocinquanta persone al giorno, per la maggior parte provenienti dalle isole e dalla zona rurale, dopo viaggi lunghi e dispendiosi. Al Centro lavorano venticinque persone, tra cui quattro medici; vi si offre un servizio di esami di laboratorio e di vaccinazioni.

Siamo presenti al Centro in due sorelle: Antonietta ed io. Il mio compito accogliere i bambini: curo chi ha piccoli problemi e indirizzo gli altri alla pediatra, possibilmente con le analisi necessarie già fatte. Il nostro lavoro si inquadra nella “Pastorale del bambino”, iniziata anni fa grazie al card. Arns e alla collaborazione di sua sorella pediatra, Dona Zilda, perita nel terremoto di Haiti, allo scopo di arginare la mortalità infantile, alla luce del motto: “Perché tutti abbiamo vita e vita in abbondanza” (Gv 10,10).

Laici impegnati

Nel tardo pomeriggio e nei fine settimana siamo impegnate nel lavoro parrocchiale, a fianco dei laici. Sono loro che animano il culto domenicale nelle comunità lontane, che il Padre può raggiungere solo tre o quattro volte l’anno. La loro testimonianza ci edifica. In una riunione, uno di loro ha detto: “Tutte le domeniche prendo la mia barca e vado in una cappella, dove animo il culto. A mezzogiorno torno a casa, mangio con la mia famiglia e alle quindici riprendo la barca per andare in un’altra comunità”. “Devi guadagnare molto per fare tutto questo lavoro!”, gli ha detto qualcuno. “Sì, ma in paradiso!”. Tante famiglie accolgono bambini in difficoltà e li crescono con sacrificio e per amore. 

Sono grata al Signore che mi dà ancora la possibilità di partire. Vado, nel nome del Signore, a dare quel che posso dare, ma anzitutto a essere…

La gente mi manifesta tanta gratitudine e io mi sento piccola davanti a loro.