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Missione è relazione e condivisione

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12 Aprile 2024

Da qualche anno a questa parte, in Messico, a Santa Cruz, sto facendo un’esperienza di missione che non avrei mai immaginato: creare relazioni semplici e fraterne e condividere la vita con le persone che Dio pone sul nostro cammino é la bellezza della missione.

Il condividere la vita con la gente mi fa godere e ringraziare Dio per le tante e belle relazioni di amicizia: segno visibile del centuplo che Gesù promette a chi lascia tutto per il Regno. Mi porta anche ad avvicinarmi a tante situazioni di difficoltà, di sofferenza e di malattia; a toccare le diverse facce della povertà: economica, l’incapacità di decidere e ricercare il bene per la propria esistenza e per quella dei i propri cari, la poca forza di volontà nell’affrontare la vita e le situazioni.

Ultimamente sperimento l’entrare in punta di piedi in queste vite fragili, la semplicità dell’essere una presenza amica e fraterna, che ascolta, che dà coraggio, che sostiene e da un consiglio basato sull’esperienza personale.

Teodosio è un giovane cresciuto con i nonni: il papà “non è mai esistito”, la mamma è morta quando era piccolo. Teodosio è cresciuto insieme a tanti zii; i nonni, nonostante la povertà, non gli hanno mai fatto mancare un pasto caldo e, certamente a modo loro, affetto e attenzione. Teodosio da anni fuma marijuana. Per un tempo ha vissuto in casa della fidanzata; hanno avuto tre bambini poi, chissà cosa ha combinato... L’hanno cacciato ed è tornato a vivere coi nonni. Gli zii hanno cercato di metterlo sul retto cammino, ma lui non ha mai voluto ascoltare.

Per diverse circostanze Teodosio è rimasto solo, tutti i suoi familiari si sono momentaneamente assentati da Santa Cruz. Il ragazzo è visibilmente depresso, si sente solo, rifiutato, non amato.

Un giorno con un amico rubano delle arance. Li mettono nel carcere di Santa Cruz (due stanze lungo la strada). Deve pagare una multa di quattromila pesos che ovviamente non ha. Le autorità di Santa Cruz lo lasciano libero con la condizione di pagare entro quindici giorni. Teodosio nel giro di un paio di giorni sparisce, «desaparecido». Lo cerco dappertutto, i suoi vicini di casa dicono che degli uomini lo cercavano. “Amici di spinelli” o mandati da un centro di recuperazione?

Dopo più di due settimane vengo a sapere che è tornato. Vado a casa sua. Parliamo a lungo, mi racconta l’esperienza fatta. Si rende conto degli errori commessi. Desidera ricostruire la sua vita. È il momento opportuno per incoraggiarlo e convincerlo a farsi aiutare.

Il giorno dopo Teodosio è ancora in carcere. Non ha pagato la multa e la autorità l’hanno punito.

È ormai sera, Teodosio è ancora detenuto. Vado nuovamente a trovarlo e cerco di sapere cosa hanno deciso le autorità.

In piazza, a Santa Cruz, ci sono molti uomini riuniti. Mi dicono che il fratello di Teodosio, che vive in città, ha pagato la munta con la condizione che, uscendo dal carcere, immediatamente lo portino in un centro di recuperazione. Mi preoccupa la reazione che avrà il ragazzo. Appoggiata alle sbarre della prigione parlo a lungo con lui incoraggiandolo ad accettare, per il suo bene, qualsiasi cosa gli verrà proposta. Stiamo ancora parlando quando un gruppo di uomini si avvicina. Mi faccio a un lato. Questi aprono la cella e parlano con Teodosio. Non riesco a sentire cosa dicono, ma non c’è nessuna reazione. Gli “inviati” del centro di riabilitazione prendono Teodosio e lo mettono su un furgone. Il ragazzo non fa resistenza. Mi avvicino al furgone per parlare con il responsabile del centro. Teodosio, dall’interno del furgone si affaccia e, con un gran sorriso, quasi gridando mi dice: “Non si preoccupi madre, va tutto bene! Grazie! Grazie di tutto!”. Da quella sera sono passate solo poche settimane. Di Teodosio non so più nulla. Lo porto nel cuore e nella preghiera con la speranza che sia sereno e collabori con chi gli sta tendendo una mano.

Condividere la vita significa anche «soffrire con». Melita, mamma e sposa; da ventisei anni malata di reumatismi. Ultimamente si aggrava; probabilmente le medicine assunte per tanti anni le hanno danneggiato i reni. Ha bisogno di dialisi e emodialisi, ma ne lei, ne il marito i figli si fidano del parere dei medici. Melita rimane in casa accudita dal marito. In meno di un mese la sua situazione clinica precipita. Finalmente la famiglia si decide a portarla all’ospedale. Le fanno una trasfusione di sangue e le mettono il catetere per la emodialisi, ma è troppo tardi, il suo fisico è già troppo debilitato. Melita non ce la fa. Non si può morire così! A cinquantatré anni! Eppure è un’altra faccia della povertà.

Sì, l’idea di missione che avevo è miseramente crollata, ma ho scoperto qualcosa di molto più grande, ho ricevuto in dono l’essenziale, l’olio della missione: condividere la vita con un altro popolo, lasciarmi toccare dall’esistenza dell’altro, nella gioia e nel dolore, e creare relazione.

Cecilia Zafferri

Originaria de Parma, Italia. Tiene la graduación en Ciencia y Tecnología Alimenticia y una maestría en Desarrollo alimenticio en la edad de la evolución humana. Es Misionerade María Xaveriana desde el 2007. Desde el 2014 desempeña la misión en México; estuvo tres años en Guadalajara apoyando en la animación misionera y desde el 2017 se encuentra en la misión de Santa Cruz (Hidalgo) trabajando con los jóvenes, en la pastoral y colabora en el equipo de social-media de la Congregación.