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Periferie giapponesi

Gloria Enciso Aldana
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01 Novembre 2016

Gloria è una saveriana messicana che da dieci anni vive in Giappone.

Ecco alcuni cenni della sua vita quotidiana.

“Dio esiste davvero?”

“Ma, sorella, Dio è vivo? Esiste davvero?” mi chiede Yusuke, undici anni, nato qui in Giappone ma figlio di Peruviani. Yusuke non parla lo spagnolo e i genitori parlano con difficoltà il giapponese. Come lui, sono tanti i bambini giapponesi-ispano, nati o arrivati qui piccolissimi, che hanno ricevuto il battesimo ma non hanno mai frequentato la chiesa.

La Messa in spagnolo che abbiamo cominciato un anno fa qui nella parrocchia di Sennan sta dando a tante famiglie la possibilità di avvicinarsi a Dio. La frequentano Peruviani, Colombiani, Cileni, Boliviani e Guatemaltechi. Grazie alla presenza nella nostra parrocchia di un padre portoghese che parla un po’ di spagnolo, siamo riusciti a iniziare un cammino pastorale con loro. All’inizio era come se queste famiglie fossero uscite dalle catacombe. Si sono passata la voce e ora pian piano si stanno avvicinando alla chiesa. Quasi tutti abitano nei dintorni, perché hanno trovato lavoro in fabbriche della zona.

Abbiamo iniziato la preparazione alla prima Comunione. Uno dei bambini era Yusuke, che mi sfidava continuamente con le sue domande mentre raccontavo brani del Vangelo: “Ma, sorella, Dio è vero o è come un film dove c’è un attore ma non è reale? Esiste? Dove?”.

Ho cominciato a pregare molto per lui; sentivo che era un po’ come partorire una nuova vita. Yusuke mi guardava silenziosamente quando pregavo, come se volesse scrutare se io stessa credessi in quello che dicevo. Non so se sia davvero successo un miracolo, ma dopo un anno di studio settimanale lui stesso è riuscito a pregare da solo. Il giorno della prima Comunione lo si vedeva davvero felice! Adesso c’è tanta strada da fare con le famiglie. Mi sono impegnata a lavorare con questo gruppo perché sento che sono tra gli “ultimi” di questa società.

Ai margini

I poveri esistono anche in Giappone. Poco tempo fa, la televisione ha mostrato alcune famiglie, senza faccia né nome, che riuscivano a mangiare solo una volta al giorno e che per “l’onore della famiglia” non si sentono di farlo sapere ai parenti. Perfino nella comunità cristiana, se un papà ha difficoltà nel pagare il contributo mensile (la decima) tace e smette di frequentare la chiesa.

C’è in particolare un gruppo di persone che la società giapponese cerca in qualche modo di “nascondere” al mondo. Si tratta dei “senza fissa dimora”. La maggior parte di loro vive in una zona alla periferia di Osaka: la povertà li accomuna e lì si sentono tutti uguali. Per vari motivi molti di loro non vogliono prender contatto con le famiglie, altri invece sono abbandonati dai parenti perché la loro situazione è vista come un disonore. Quando c'è qualche evento nel centro della città, i poliziotti passano per la zona turistica e se trovano un “senza fissa dimora”, lo portano nella zona dove sono tutti gli altri.

La chiesa cerca di andare incontro alle necessità più urgenti. C’è una comunità di suore presente sul posto e altre collaborano come volontarie, come anch’io, da alcuni anni. Tanti sono i segni di generosità da parte di credenti e non credenti: normalmente prepariamo il cibo per quattrocento persone, ma non sempre è sufficiente.

Ogni due mesi, con una coppia di cristiani protestanti e altri cristiani, andiamo a trovare le donne ricoverate in un ospedale psichiatrico. Ormai ci conoscono e partecipano volentieri a quanto facciamo con loro: canti, ginnastica e danza, qualche episodio del Vangelo raffigurato su un disegno che devono colorare e altri lavoretti. Talvolta canto qualcosa in inglese o in spagnolo, accompagnandomi con la chitarra, e vedo che gioiscono anche per queste piccole cose. Le infermiere ci dicevano che quest’anno è aumentato il numero delle giovani con problemi mentali. Una volta ricoverate, spesso le loro famiglie non se ne interessano più.

In ricerca

Da alcuni anni sto dando lezione di spagnolo a una signora giapponese buddista e sono stupita della profondità delle sue osservazioni riguardo alla nostra fede. Partecipando a un funerale nella cattedrale di Kyoto, ha scoperto che il funerale cattolico è ricco di gioia e bellezza e soprattutto di speranza: “Voi credete nella vita dopo la morte, vero?”, mi ha detto. Mi pare che stia facendo un cammino di sincera ricerca di Dio, in cui Dio stesso sta prendendo l’iniziativa.

La società giapponese è esigente e la competitività è molto forte in tutti i campi. Ogni anno i suicidi superano i trentamila e recentemente sono aumentati quelli fra bambini e ragazzi.

“Ma, sorella, Dio esiste davvero?” La domanda di Yusuke penso sia quella anche di tanti giovani giapponesi.

In Giappone non è facile parlare di Dio e io spesso trovo la grande barriera della lingua: pur parlandola, non sempre riesco a comunicare come vorrei.

Attraverso tutti questi incontri, sento che sono chiamata a vivere le sfide come un’opportunità per rendere più autentica la mia fede, accogliendo l’altro e dilatando il mio cuore per camminare insieme, anche come comunità di sorelle, dando spazio al silenzio necessario per fare esperienza della bellezza e della luce di Dio che è Padre misericordioso.