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Un amore che invia

Valentina Gessa mmx
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11 Marzo 2018

Preghiera, radice della missione

La missione nasce dal desiderio del Padre che tutti gli uomini e le donne siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità (1Tm 2,4).

In Thailandia, dove i cristiani sono solo lo 0,6 % della popolazione, si tocca con mano questo desiderio di Dio, diventa sempre più nostro e si vorrebbe si realizzasse al più presto.

In un contesto non cristiano ci si rende conto sempre più che è la verità di Cristo che rende liberi, dà alla vita il pieno significato e ci rende pienamente umani. Questa missione di Dio, che diventa missione della chiesa, Gesù la mette in preghiera: “La messe è molta ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il padrone della messe perché mandi operai per la sua messe” (Lc 10,2). Denominatore comune della missione e della preghiera è la relazione: con Dio, con la chiesa, con la gente.

Dio è di tutti

Per me, la preghiera del missionario si sintetizza in due parole: “Padre nostro!”. Invocare il Padre è sentirsi sempre più figli, abbracciati da una tenerezza cui non si può negare niente. È questo amore ricevuto costantemente, e in modo sempre nuovo, che invia, apre nuovi orizzonti e manda nella missione della vita. Nostro: è quel capire che Dio è di tutti e non si arriva a Lui da soli ma con gli altri, tutti gli altri.

Sembra scontato ma non è facile sentire Dio Padre di tutti e presentarsi a Lui senza escludere nessuno. Solo dopo ben nove anni di Thailandia, durante la preghiera di adorazione, ho detto di cuore a Dio: “Amo il popolo thailandese”.

Ho abbattuto qualche barricata

È stato il mio parto spirituale, da allora ho abbattuto qualche barricata e la chiesa thailandese non è più la chiesa locale con la quale collaboro, ma la mia chiesa, dove vivo e sono chiamata a condividere le gioie e le sofferenze. La missione, come altre esperienze forti della vita, fa scattare la molla della veridicità davanti a sé stessi e a Dio. Ci si scopre non migliori degli altri, bisognosi di salvezza e perdono e per questo più aperti e solidali con il prossimo.

Mi piace ricordare quanto mi disse Phim, una giovane buddista non vedente e paralizzata: “Il tuo Dio ti ha mandata per dirmi che Dio è padre di tutti, e anche mio”. Questo per me è il miracolo: che da una semplice relazione di amicizia l’altro colga il “mandante” e nella preghiera ci si riconosca collaboratori con Dio per la venuta del suo Regno.